Onorevoli Colleghi! - Le recenti polemiche sorte a seguito dell'inserzione pubblicitaria dell'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), che paragonava le stragi naziste agli attacchi israeliani nel Libano, hanno riproposto con forza il problema dei criteri di formazione della Consulta per l'Islam italiano e della rappresentatività dei soggetti che vi partecipano.
      L'obiettivo di un'effettiva integrazione della complessiva comunità islamica nella vita politica, amministrativa, culturale e sociale del nostro Paese è di grande rilevanza, ma non può essere conseguito senza la definizione di regole e limiti precisi.
      Certo, una delle chiavi di volta di questa integrazione risiede nello stabilimento di un canale permanente di dialogo tra le istituzioni democratiche e le realtà maggiormente rappresentative dell'universo islamico presente in Italia. Ma per poter svolgere questo ruolo, è necessario che esse rispettino inderogabilmente i princìpi tipici dello Stato di diritto e dell'ordinamento internazionale, al quale si ispira il nostro sistema costituzionale.
      Non rientrano certamente in questa logica posizioni come quelle espresse dal segretario nazionale dell'UCOII, il convertito Hamza R. Piccardo, che, in una lettera inviata al Capo dello Stato, aveva sostenuto che tramite lui si esprimerebbe il «sentimento di estremo disagio che alberga nei cuori della stragrande maggioranza dei miei correligionari».
      Nella sua denuncia di «una diminuzione programmata e stabilita per legge o per decreto dei diritti di espressione, di educazione, di rappresentanza», che «implementa un deficit di democrazia complessiva

 

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ed è oggettivamente l'inizio di una dittatura», nonché «il brodo di coltura in cui si alimenta il terrorismo», Piccardo attaccò duramente l'allora Ministro dell'interno Pisanu per la sua decisione di dar vita a una Consulta che favorisca l'affermazione di un «Islam italiano», ribadendo che l'Italia avrebbe dovuto stipulare, invece, un'intesa con l'UCOII quale unica rappresentante dei musulmani.
      Per parte sua, il presidente dell'UCOII, Mohamed Nour Dachan, affermò di rappresentare l'82 per cento dei musulmani italiani.
      Sarebbe come dire che, su un milione di musulmani in Italia, 820.000 aderirebbero all'UCOII. Un dato ben poco credibile se si tiene presente che solo il 5 per cento dei musulmani frequenta abitualmente le moschee, quindi non più di 50.000 fedeli. E l'UCOII stessa poi afferma di controllare, direttamente o indirettamente, circa 160 moschee su un totale di 611 censite dal CENSIS.
      Merito del Ministro dell'interno di allora fu proprio l'iniziativa, assunta con decreto 10 settembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 26 ottobre 2005, di dare vita, con funzioni consultive, ad una «Consulta per l'Islam italiano», che tenesse conto, appunto, dei limiti di rappresentatività della suddetta UCOII.
      Un'iniziativa legislativa venne presa nella passata legislatura dai senatori Compagna e Del Pennino (atto Senato n. 3648, XIV legislatura) per rafforzare, consolidare, ampliare il significato e la prospettiva del provvedimento assunto in via amministrativa.
      Inoltre, come più volte rilevato in molti articoli di stampa (in particolare da quelli di Magdi Allam sul Corriere della Sera), la pretesa di una sorta di monopolio della rappresentanza delle comunità islamiche di fronte alle istituzioni dello Stato, rivendicata dall'UCOII fin dal suo atto di nascita (gennaio del 1990, Ancona), aveva posto veti, interdizioni, ostacoli ad ogni forma di dialogo volto ad un armonico inserimento dell'immigrazione islamica nella società italiana, nel rispetto dei princìpi della Costituzione. Di qui sorgeva l'esigenza di superare incomprensioni e opacità del passato, prospettando su nuove basi il rapporto fra la democrazia italiana e l'associazionismo islamico in Italia.
      Oggi, dopo le recenti posizioni dell'UCOII e le dichiarazioni del suo presidente, secondo il quale «se l'UCOII esce dalla Consulta, la Consulta è morta», si pone con maggior forza l'esigenza di un intervento legislativo, giacché il problema del rispetto dei princìpi democratici da parte dei componenti della Consulta, e quindi della legittimazione a farne parte, non può essere risolto con la generica accettazione di una carta dei valori, ma deve trovare risposta in precise disposizioni normative.
      Di qui la presente proposta di legge che riprende il precedente testo dei senatori Compagna e Del Pennino e agli articoli 1 e 2 prescrive l'istituzione, presso il Ministero dell'interno, di un Consiglio delle associazioni islamiche italiane, dotato di funzioni eminentemente consultive e composto, tra gli altri, dagli esponenti delle relative associazioni più rappresentative nel territorio italiano, individuate, ogni due anni, con decisione del Ministro dell'interno che deve tenere conto dei precisi criteri di adeguamento delle stesse ai princìpi democratici successivamente enumerati all'articolo 4.
      Mentre l'articolo 3 definisce la nozione di «associazione islamica», l'articolo 4 menziona i vincoli normativi interni e gli atti internazionali, cogenti o comunque aventi valore programmatico, che devono essere rispettati dagli aderenti alle associazioni in questione e dalle associazioni stesse. Si tratta, in particolare, di trattati internazionali, cui l'Italia ha formalmente aderito nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che impegnano al rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, al divieto di discriminazione contro le donne e alla lotta contro l'antisemitismo.
 

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      L'adeguamento, da parte delle associazioni islamiche partecipanti al Consiglio, a tali princìpi e norme rappresenta una autentica condicio sine qua non, dal momento che è fatto loro obbligo di dotarsi di uno statuto interno che preveda, per i propri componenti, il dovere di conformarsi a quei princìpi e a quelle norme internazionali, nonché un funzionamento democratico della propria vita associativa.
      L'articolo 5 elenca i compiti del Consiglio, tra i quali sono da annoverare, in via prioritaria, lo scambio di informazioni riguardanti qualsiasi tipo di attività mirante all'integrazione tra la comunità islamica e la società italiana e la formulazione di pareri sulle proposte, di natura legislativa o amministrativa, che riguardino la condizione generale dei musulmani in Italia.
      L'articolo 6, infine, prescrive la creazione di una segreteria del Consiglio che, eventualmente, può essere articolata anche secondo sezioni provinciali.
      Lo spirito che informa la proposta di legge, nel suo complesso, è mutuato da princìpi di diritto che sono affermati, da oltre trenta anni, nell'ambito dell'OSCE, organismo internazionale paneuropeo che vede la partecipazione di 55 Paesi del nostro continente, impegnati nella salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo, ma anche nel coinvolgimento, in qualità di osservatori, di Israele e di cinque Paesi arabi della sponda meridionale del Mediterraneo: Algeria, Marocco, Egitto, Tunisia, Giordania.
      In particolare, l'OSCE si è recentemente pronunciata in materia di emigrazione, con la Conferenza di Penha Longa dell'ottobre 2001, e in materia di antisemitismo, con le Conferenze di Berlino e di Cordoba, tenutesi, rispettivamente, nell'aprile 2004 e nel giugno 2005.
 

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